giovedì 11 febbraio 2016

A.R. Artsteady reviews: Dylan Dog color fest N°16 , Tre passi nel delirio



Questa che si prospetta sarà una recensione di parte.Gli artisti di questo ultimo color fest di Dylan Dog, a partire dal copertinista Arturo Lauria, per poi arrivare agli stessi autori delle storie, son tutta gente che,  senza mezzi termini, ADORO!

Francesco Ciampi in arte Ausonia
 Ha realizzato uno dei fumetti autoriali italiani più belli che abbia mai letto negli utlimi anni (stiamo parlando di "ABC" della "Coconino press").
Già questo mi basta.

Marco Galli anche detto Kazzemberg
E' un artista che ammiro tantissimo e le cui ultime due pubblicazioni sono veramente cibo per la mente per quel che mi riguarda.
(stiamo parlando di "Oceania Boulevard" e "Nella camera del cuore si nasconde un elefante" sempre della Coconino)

Gabriele di Benedetto in arte Aka B 
Dire che sia solo un fumettista è riduttivo. Ha spaziato oltre che col fumetto ("Le 5 fasi" ad esempio,"Edizioni BD"),
con la scrittura ("Come un piccolo olocausto", "Logos edizioni"), con l'illustrazione (Monarch) e con il cinema (Mattatoio).
E' insomma un artista a tutto tondo.
Un inarrestabile fiume in piena.

Vedere questi tre insieme, in un unico albo e vedere l'albo direttamente in edicola è per me motivo di gioia e contentezza.
Potrei quasi pensare addirittura che questo numero del color fest non sia stato fatto per rinnovare e snellire il personaggio di Dylan come in molti giustamente stanno dicendo.
No! potrei quasi asserire che questo fumetto sembra essere fatto apposta per me!
Che finalmente, dopo duecento anni dall'ultima volta, posso dire che sia uscita della roba italiana da edicola che, in quanto lettore (e non da addetto ai lavori) approvo in toto.
Senza quel:

"Si è fatto bene...però...(inserire qui critica a caso)".

Ma veniamo al dunque e analizziamo le singole storie.


"Sir Bone - abiti su misura" di Ausonia

Ausonia si muove in maniera del tutto disinvolta tra le pagine del nostro indagatore dell'incubo, complice il fatto ch'egli, oltre ad essere un magistrale disegnatore, può anche vantare una
certa confidenza col materiale trattato fatto di macellazioni e carni putride (si veda ad esempio Pinocchio dello stesso autore).
Il tutto è accompagnato da un tratto che sa essere poetico e fiabesco al contempo, creando un gioco di contrasti con il soggetto trattato che rende il tutto ancora più lugubre.
Una cosa che mi ha colpito è che la storia si potrebbe benissimo incastrare nell'universo narrativo di Dylan Dog canonico (intendo proprio la serie regolare) e uscirne di gran lusso.
Un occhio più malizioso può leggere all'interno della storia anche una sottintesa ridicolizazzione verso la serialità della testata stessa (si parla di come vengono fabbricati gli abiti sempre uguali di Dylan per farvi capire).
Vista in senso più ampio questa dissacrazione è rivolta sopratutto verso la società industrializzata e verso il consumismo e il conseguente sfruttamento umano e disumano (rappresentato egregiamente da delle "povere" capre demoniache lavoratrici) e quindi verso la serialità e l'omologazione in generale.
Ovviamente la critica interna è portata avanti con immenso rispetto del personaggio e tende più ad esaltarlo che a caricaturizzarlo o a renderlo ridicolo.
Gli dà un senso, senza stravolgerne l'universo narrativo ed è per questo che per me potrebbe benissimo incastrarsi nella serie regolare.
Verso la fine si raggiunge quello che secondo me è il picco narrativo.
Senza spoilerare nulla vi dico solo che i personaggi principali della storia ad un certo punto si mettono a nudo con poche parole, pochi gesti e una maestosa gestione della "telecamera", si ha un salto quantico emozionale che mi ha ricordato perchè adoro così tanto Ausonia.




"Gick Grick" di Marco Galli
Questa è la storia che, a partire già dal titolo, più mi riuscirebbe facile racchiudere in un solo aggettivo: "Disturbante!"
Il pretesto è semplice:

Un demone si ritrova all'improvviso in casa di Dylan ed arreca disturbo.

Un disturbo che scaturisce dalle pagine di carta per penetrare nelle orecchie del lettore e fargli venire quei brividi che solo un'unghia graffiata su una lavagna può dare.
Una roba che a leggerla coinvolge in prima persona.
A me è bastato solo questo.
La regia di Marco Galli è ineccepibile, cinematografica (e mi aveva già abituato a questo col suo Ocenaia Boulevard), riesce veramente a trascinare il lettore in una situazione che mette in tensione, arreca fastidio, mette inquietudine.
Galli ha colto il cuore dell'horror e questo basta!
Non ho trovato, nè cercato, significati profondi in ciò che ha voluto raccontarci e forse non sembra neanche averne pretesa, almeno ad una prima lettura.
Degno di nota il coraggio che ha avuto nella rappresentazione grafica di Dylan, bruttino, (non bello e affascinante come noi siamo abituati a vederlo).
Forse dietro c'è l'intenzione di ridimensionare il mito del personaggio, sempre puro e impeccabile anche solo nella mera rappresentazione grafica e sempre aggraziato perfino nelle sue fragilità.
Dico "forse" perchè, per quel che ne so, Marco Galli è sempre stato un disegnatore ineccepibilmente bravo a disegnare personaggi brutti, tanto da renderli belli.
Quindi c'è semplicemente Galli e c'è Dylan, le due cose si muovono all'unisono senza che una si sovrapponga all'altra.
Anche qui c'è un piccolo elemento di critica sociale (o per meglio dire critica ai social) che si incastra perfettamente col resto e rende più grottesco il tutto.




"Claustrophobia" di Aka B

Quella di Akab è secondo me la storia più riuscita.
Più riuscita non perchè sia stata fatta meglio rispetto alle altre, ma perchè Akab ha un modo di scrivere che si potrebbe adattare veramente a qualsiasi formato narrativo.
Leggere la storia di Akab è usufruire di un qualcosa che esula dal tempo di narrazione, una roba che potresti arrivare a leggere fino alle duecento pagine o leggerne solo cinque, ne rimarresti comunque soddisfatto.
Il fulcro della narrazione di Akab può racchiudersi in una semplice frase citata all'interno della sua stessa storia:

"Una volta Lord Wells mi disse che noi pensiamo all'infinito come a un periodo temporale molto lungo, ma in verità non è così.L'infinito è assenza di tempo.Piuttosto.E anzichenò."

Questa assenza di tempo,  onnipresente nella storia per l'appunto, ti cala non più in un susseguirsi di eventi ma in una sorta di eterno presente.
Molto probabilmente il grande alleato di questo tipo di narrazione, per niente facile, è il fatto che Akab può vantare una nutrita esperienza pure nel campo dell'autoproduzione.
Cosa che gli ha permesso di forgiarsi e formarsi attorno ad un solido metodo narrativo che gli consente di adattarsi a qualunque tipo di esperimento editoriale.
Mentre le altre due storie, con tutti i loro pregi, possono avere il difetto di risultare troppo corte (stiam pur sempre parlando di 30 pagine a storia), questa di Akab ti soddisfa, ti riempie ed è forse quella che più rileggeresti con piacere in qualità di semplice lettore (e non come magari potrei fare io che da autore rileggo, scandiglio, studio, scompongo e ricompongo volentieri pure le altre storie).

Per farvi capire, il soggetto è veramente quanto di più semplice possa esistere:

Dylan intrappolato in un pozzo, non accade niente!

Solo chi ha una certa maestria nel raccontare può rendere interessanti 30 pagine di fumetto intorno a questo semplicissimo quanto banale spunto.




Nel complesso è scontato dire che questo color fest è da considerarsi anche e sopratutto come un "innovation fest" interno per la casa Bonelli, ma anche per la roba da edicola di produzione italiana
in generale.
Con passi come questi il personaggio di Dylan Dog può veramente risorgere dalla presunta decadenza che tutti i lettori nostalgici di vecchia data lamentano e tornare a poter dire nuove cose.
Con un rinnovamento non solo nei contenuti (che forse in una testata trentennale come DD è impresa quasi impossibile) ma anche e sopratutto offrendo un nuovo impatto visivo e di forma narrativa.
Aprendosi di più ad una certa autorialità che nel fumetto italiano possiamo vantare di avere a iosa, si può dare un po' più di respiro e aria di novità ad una serie che da trent'anni a questa parte, formalmente parlando, non è cambiata molto.
Tutti e tre gli autori hanno dato una visione totalmente differente e personale del personaggio, rimanendo fedeli all'universo narrativo e rispettando quelli che sono i punti cardine di un
personaggio popolare e immutabile come Dylan Dog.
L'unico difetto che posso attribuire al prodotto nel suo complesso è che le storie mi son risultate un pò troppo brevi, so che può risultare una critica stupida, in quanto ormai il formato testata è
quello che è e varia a seconda del numero di autori coinvolti al suo interno, ma più che una reale critica il mio è un invito a volerne ancora.

L'albo costa 4,50€, è un prezzo ottimo (addirittura più basso rispetto ai precedenti color fest), se consideriamo non solo il formato a colori, ma pure i contenuti.
Mi sentirei di consigliarlo anche e sopratutto a chi di Dylan ha letto poco o nulla.
Mi sentirei di consigliarlo perfino a chi, di fumetti in genere, ne ha letti pochi o nulla.
Si perchè, per chi non ha mai masticato fumetti, è un ottimo stimolo, in quanto ci si approccia in un sol colpo al fumetto popolare, a quello autoriale e, ultimo ma non ultimo, al personaggio Dylan.

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